CHIAVARI- C’era la banda. E c‘erano Bella ciao e Fischia il vento. C’erano anche il sindaco, il presidente, gli assessori, i consiglieri comunali. Avevano la coccarda dell’Anpi al petto e una sincera partecipazione dentro gli occhi. Doveva essere un XXV aprile normale, senza vuoti istituzionali. E così è stato. Molta gente, più del solito. In corteo ha sfilato la Chiavari che vede nella Resistenza una madre, che rende omaggio ai propri figli caduti davanti a quel muro nel camposanto. Persone con il groppo in gola quando il silenzio della tromba s’è infilato bastardo nelle orecchie. Che hanno immaginato il prete chinarsi su quei corpi appena uccisi per tamponare con una pezza il sangue caldo sulla pelle. Lottare per la libertà. Per un ideale che non porta quattrini. Poveri illusi. Morire a vent’anni per la libertà. La Resistenza è solo questo, alla fine. E’ correre in montagna perché sotto ai fascisti non ci puoi stare. Anche se hai un padre, una madre e la minestra tutte le sere sul tavolo. E magari qualche fratello che ti dice di non andare a farti ammazzare, di pensare alla fidanzata e al lavoro. Di pensare a noi. Il XXV aprile di oggi è cogliere quello spirito ribelle e sentirlo sottopelle. Altro non è. Non puoi essere in piazza e non avere i brividi, se ci pensi. E allora ci vuole la banda che suoni Bella ciao e Fischia il vento, la canzone dei partigiani. Perché se non vi sono quelle note non è la stessa cosa. Manca l’anima. Il sindaco di Chiavari ha voluto prendere la parola ricordando che «le feste sono fatte per unire» e che «questo giorno lo abbiamo utilizzato per dividerci». Chiara l’allusione alle precedenti edizioni del XXV aprile chiavarese, una stupida rappresaglia dell’amministrazione Agostino contro il XXV Aprile del popolo. Poi Levaggi ha annunciato l’intenzione di aprire un piccolo museo attorno al muro dei fucilati, per restituire con i simboli della Resistenza la molteplicità di culture politiche e religiose che si unirono per affossare il regime nazifascista. Lo ha detto accanto agli occhi lucidi del vecchio partigiano “Mingo”, braccio destro di Aldo Gastaldi “Bisagno”. Applausi. Le parole del sindaco sono parse sincere, credibili. Vi sarà tempo per incalzarlo sulla politica amministrativa, sugli eventuali intrallazzi dei suoi assessori. Non oggi, però. La Chiavari con i peli drizzati sulle braccia e le farfalle nello stomaco sotto quei cipressi aveva il proprio sindaco al fianco davanti a quel muro grigio. Il muro dei condannati a morte. Non lo ha avuto per vent’anni. Bella ciao.
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