Non può essere giocato tutto sul piano emotivo, però. I toni stucchevolmente lacrimosi, i luoghi comuni infarciti d’ovvietà, le parole messe in tavola come piatti della cerimonia per apparecchiare la cronaca della disgrazia. Perché nella storia dei due morti ammazzati dalla cosiddetta “bomba d’acqua” di Carasco – metafora utile a rubricare cinicamente nell’imponderabile quel che doveva essere evitato con un’adeguata ponderazione del rischio – vi è un piano, chiamato logica, che deve subordinare l’emozione. D’improvviso è crollato un ponte su una strada provinciale di estrema rilevanza. Su quell’asfalto sospeso sul torrente che s’appresta a confluire nel fiume Entella – il corso d’acqua più importante del Tigullio – passavano ogni giorno migliaia di auto e moto, centinaia fra camion e autobus. Te lo insegnano a scuola, ogni opera d’ingegneria civile se sollecitata oltre il limite di tolleranza può crollare. E allora la lacrimevole cronaca affidata al racconto degli amici del paese, i titoli che sempre risarciscono le morti con l’ampollosità delle parole di circostanza non possono annacquare il carico di responsabilità che qualcuno in questa vicenda porta con sé. Esiste in questa storia, come in altre analoghe dove l’acqua ha ridotto a cartapesta i rassicuranti documenti archiviati nei pubblici uffici, un crash del sistema amministrativo che rappresenta inevitabilmente la precondizione della tragedia di Carasco. Il ponte è crollato perché sono mancate, o comunque si sono rivelate largamente inefficaci, le necessarie attività di monitoraggio dei punti critici. Ha in sostanza latitato l’indispensabile prevenzione che l’ordinamento giuridico nazionale e decentrato affida innanzitutto a Comuni, Province e Regioni. La popolazione levantina si è svegliata una piovosa mattina d’ottobre scoprendo che l’emergenza non fosse affatto la soppressione del Tribunale di Chiavari, l’apertura dell’outlet di Brugnato, la chiusura della caccia al cinghiale. Ma piuttosto la tenuta strutturale di un ponte sulla provinciale per la Fontanabuona. E degli altri collegamenti appesi ai corsi d’acqua limitrofi al torrente dove sono annegati Claudio Rosasco e Lino Gattorna, in seguito chiusi per alcune ore in ottemperanza ad una tardiva tensione preventiva scivolata nell’emergenza. Eppure i sindaci fontanini hanno impegnato incessantemente le istituzioni per promuovere il tunnel finalizzato a collegare con un’opera milionaria la valle con la costa, mentre nessuno si è preoccupato di denunciare la possibilità che quel ponte di Carasco potesse finire in acqua portando con sé la vita di Rosasco e Gattorna. E’ lecito chiedersi quante opere pubbliche siano oggi a rischio, quanti ponti potranno ancora cadere o quanti scantinati saranno allagati dalle piogge che verranno. Chi sia in grado di garantire la sicurezza delle strade su cui viaggiamo, chi sappia fornire una mappatura credibile delle aree a rischio idrogeologico o esposte ad inquinamento atmosferico. E’ lecito chiedersi se questa classe dirigente che riempie i giornali di false emergenze – non senza acritica e dunque colpevole complicità dei medesimi – sappia tutelare la comunità da calamità indotte dall’antropizzazione del territorio, dalla continua sfida portata alla natura dal mito pagano delle grandi opere. Bastano alcune ore di pioggia per morire con la bocca impastata di fango cari signori del finto progresso, a Chiavari come a Vernazza, a Carasco come a Genova.
Lorenzo Podestà
Ma il sindaco non ê la massima autorità sanitaria locale? Chi si doveva preoccupare di far periziare il ponte?
Caro Podestà,
non occorre essere un ingegnere idraulico per capire che un bacino idrico composto da tre torrenti (Sturla, Lavagna e Graveglia) che confluiscono in località successive prima di diventare il fiume Entella vanno studiati da persone competenti e non da politici che vedono vicino al proprio naso e sono generalmente interessati ai propri destini elettorali, specialmente se vengono chiamate in gioco vaste aree che potrebbero diventare edificabili.
Ciò premesso, prima di elaborare faraonici progetti alla foce del fiume stravolgendo quello che i nostri antenati ci hanno lasciato , è necessario fare interventi mirati sulle aree interessate dagli affluenti. Sembra l’uovo di Colombo, ma ogni autunno si verificano avvenimenti che ci dovrebbero far ben riflettere specialmente quando saremo chiamati a confermare o meno gli attuali amministratori locali e regionali.
Gentile @Gianfranco, ha letto il mio articolo di ieri 4, sul “Corriere Mercantile” trasformato in intervista per ragioni redazionali ? Credo di essermi così…. “salvato in corner” ai suoi occhi circa lo scarso interesse dimostrato dai lettori de’ “Il Menabò” sul crollo di Carasco da lei giustamente deplorato. In questo caso ho preferito affidare a un giornale cartaceo, anziché al “Menabò”, le mie perplessità, unitamente ad un’altra possibile criticità non citata, anche se le confesso che un po’…mi è dispiaciuto. Ho fatto questa scelta per avere più visibilità, ma soprattutto per “allertare” il più possibile gli enti responsabili – se mai ci fossero – aventi funzioni di permanente controllo statico di particolari manufatti posti in particolari situazioni, poiché dalla lettura dei giornali non lo si è capito per niente. L’unico intervento intelligente è stato quello dell’ing. Traldi di Lavagna che da tempo aveva denunciato il potenziale pericolo regolarmente ignorato dalle autorità, ovvero la rotazione di una pila del ponte regolarmente non considerata, ahimè,……all’italiana.
Gentile Beppe Grossi, non ho avuto oocasione di leggere il suo articolo intervista sul Mercantile perchè fuori Chiavari fino a dopo le vacanze di Natale. Se ha la possibilità di mandarmenre una scansione al mio indirizzo mail serravallo@iol.it lo leggerò volentieri e se lei sarà dìaccordo potro fare un post sul menabonews.