Ho letto sull’edizione on-line del Secolo XIX di oggi il commento di Roberto Speciale sul libro di Andrea Casazza dedicato alla colonna genovese delle Brigate Rosse. Come ricorda il giornale “All’epoca dei fatti, Speciale era membro della segreteria regionale del Pci e responsabile della sezione Problemi dello Stato”. Non conosco personalmente Casazza e non ho letto il volume (l’ho cercato sotto Natale in una libreria di Santa Margherita ma era esaurito). Ma mi sono occupato di argomenti analoghi documentandomi e scrivendo due libri: Annamaria Ludmann. Dalla scuola svizzera alle Brigate Rosse (Bradipolibri 2006) e Dalla Croce alla stella – coautrice Maria Vittoria Cascino – (Bradipolibri 2009). Del tutto inevitabile che il testo di Casazza mi interessi particolarmente, come pure le reazioni che genera. Tra queste, la nota di Speciale sul Secolo XIX. L’ex dirigente del PCI critica l’autore frontalmente, opinioni sulle quali non assumo posizioni in questa sede. Ad eccezione di un punto, che proprio non posso tacere: l’accusa mossa a Casazza – nelle vesti di storico attribuitegli proprio da Speciale – di non assumere una netta posizione contro il movimento sovversivo che descrive nel libro “Gli imprendibili. Storia della colonna simbolo delle Brigate Rosse”. Una critica che non sta in piedi sul piano metodologico, giacché appare del tutto evidente che lo storico (serio) non debba formulare giudizi su ciò che indaga, ma piuttosto raccogliere tutto il materiale disponibile per ricostruire con onestà intellettuale una “verità storica” che vada al di là di ogni ragionevole dubbio. Non aggiungo altre considerazioni di natura editoriale riservandomi di leggere il libro, se non una breve riflessione giornalistica (spero che Speciale mi voglia concedere il diritto di critica sancito dalla Costituzione evitando di bacchettare pure me). Quantomeno il gruppo dirigente del PCI dell’epoca, cui devono essere ricondotte posizioni ufficiali durante la lotta armata, si è sempre limitato – a mio avviso colpevolmente – a condannare il movimento sovversivo quale attentatore delle istituzioni democratiche, evitando di porsi il problema per cui – come è storicamente documentabile – non pochi ex partigiani sostennero l’azione dei primi brigatisti proprio contro l’azione politica del PCI e del sindacato di riferimento, la CGIL. La lotta armata nasce e si sviluppa anche nel vuoto politico lasciato dal PCI, che sinistra massimalista di matrice rivoluzionaria e cattolicesimo di base spinto su posizioni estreme colmarono entrando in clandestinità. Nei documenti fondativi la lotta armata è del tutto evidente, basta leggerli. Berlinguer e Lama serrarono le fila per difendere la propria idea di democrazia bollando come “tesi farneticanti” e “scritti deliranti” documenti che interessarono – Speciale se ne faccia una ragione – centinaia di persone solo a Genova, migliaia in tutta Italia.
Lorenzo Podestà
Lascia un commento
Devi essere connesso per pubblicare un commento.