“Parlerò a titolo strettamente personale. Perciò parlo a nome degli Elfi del bosco di Fangorn, dei Nuclei Colorati Risate Rosse, del MPFA (Movimento Politico Fantomatico Assente), delle Cellule Dadaedoniste, di Godere Operaio e Godimento studentesco, dell’Internazionale Schizofrenica, dei NSC (Nuclei Sconvolti Clandestini), dei Cimbles e di tutti gli Indiani Metrololitani. Così esordiva in una conferenza tenutasi alla Stampa estera e divenuta giustamente celebre, con una maschera bianca sul volto e una tuba nera in capo, Gandalf il Viola in quel lontano 1977. Gli era seduto accanto con aria imbarazzata il segretario della Fgic (Federazione giovanile del Partito comunista italiano) Massimo D’Alema: era la rappresentazione perfetta della dissociazione in atto. Il “vecchio” della politica, della rappresentanza partitica, del compromesso sempre possibile tra segreteria, era del tutto incapace di comprendere, di recepire i segnali che provenivano dal “nuovo”: l’insofferenza per ogni possibile delega, il rifiuto delle gerarchie, l’insofferenza per le parole d’ordine, per le etichette”. E’ questo l’incipit di uno stupendo libro pubblicato da Stampa Alternativa nel 1997, a vent’anni esatti dalla (mancata) rivoluzione anarcoide in cui “il ’77 è stato l’altrove rispetto al cielo della politica, il luogo in cui anche solo per un istante si è sperato di poter liberare l’esistenza dall’invadenza del razionale, di poter partire dai propri bisogni per rimodellare la realtà, per recuperare spazi di vita senza sottomettersi ad alcun potere”. Il libro di Pablo Echaurren “Parole Ribelli. I fogli del movimento del ‘77” descrive il mondo di “testate che nascono e muoiono all’istante” , giornali che rivendicavano l’autonomia “da ogni imposizione, da ogni organizzazione verticistica, negazione del leaderismo e di quelli che fino a quel momento erano stati i gruppi riconosciuti, anche quelli della sinistra extra-parlamentare, a cui si contrappose la proliferazione di centinaia di micro-aggregazioni spontanee che delineavano i propri scenari preferiti, che si scrivevano stampavano e leggevano i propri giornali senza dover rendere conto di nulla a nessuno. Echaurren scrive che “Successe un po’ la stessa cosa che portò in Inghilterra, tra il ’76 e il ’77, all’esplosione del fenomeno punk: i ragazzi stanchi dell’invadenza oppressiva delle grandi macchine messe in moto dall’industria musicale decisero di riappropriarsi della musica. Basta con i giganteschi impianti, con la perizia tecnica, con le raffinatezze sonore del rock più evoluto., a tutto questo il punk oppose l’autoproduzione più rozza, la diffusione seminale di un suono sporco, sprezzante, stonato ma finalmente tornato nelle mani dei suoi produttori/consumatori”.
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