L’errore di fondo è pensare che giornalisti, fotografi, operatori e montatori siano al servizio della verità. Non è affatto così. Essi sono innanzitutto al servizio di chi li paga, imprenditori che per sostenere la propria azienda editoriale devono scendere a patti con chi garantisce loro utili. Esistono dunque una verità storica (ciò che accade veramente) e una verità editoriale (ciò che finisce in pagina). A parer mio il buon giornalista è colui il quale combatte contro il proprio editore per (far) pubblicare quante più quote di verità storica possibile, pienamente consapevole che questo lo porterà inevitabilmente alla risoluzione del proprio rapporto di lavoro, quindi alla disoccupazione. Ecco perché un giornalista deve subito porsi il problema di avere un reddito alternativo che gli consenta di esercitare liberamente il mestiere – raccontare la verità – senza troppi vincoli. Naturalmente mi riferisco al giornalismo di inchiesta politica e amministrativa, non alla cronaca nera o giudiziaria. In questi settori ti viene chiesto semplicemente di raccontare come siano andate le cose. È qui che gli editori gonfiano il petto, perché non è loro necessario alcun coraggio: gli articoli discendono dagli atti dei carabinieri o dalle carte della Procura. Ma quando ti arriva sulla scrivania la notizia portata da un giornalista circa un pruriginoso atto amministrativo, per esempio una determina dirigenziale che potrebbe porre in serio imbarazzo un sindaco e/o l’imprenditore del momento (colui che compra uno dopo l’altro spazi pubblicitari sui giornali), ecco – in questo caso – il diritto di cronaca è sovente stuprato in piena consapevolezza. Alcuni editori/capiredattori decidono di non pubblicare la notizia, altri (i più subdoli) di confonderla all’interno di scritti relativi ad altri atti, potendo in tal modo evitare di dedicare alla notizia scomoda titoli e occhielli che si rivelerebbero poco graditi all’inserzionista del momento. Intendiamoci, tali critiche considerazioni non si esauriscono al giornalismo cartaceo, televisivo o radiofonico. L’errore sarebbe pensare che tutto ciò che discende dalla rete sia buono: il feticismo web non mi appartiene, anzi. A mio parere l’unico modo per uscirne è mantenere verso il giornalismo una elevata coscienza critica, imparando a cercare in prima persona notizie su siti istituzionali. Tutte le delibere degli enti pubblici sono per legge pubblicate, occorre acquisire ciò che ci interessa. L’informazione è un diritto, come tale va esercitato con piena consapevolezza. Investendo dieci minuti a settimana del proprio tempo si ha modo di sapere come il Comune in cui si vive spende i quattrini pubblici, quali professionisti incarica, quali associazioni/imprese sostiene conferendo loro lavoro. Internet consente di condividere informazioni sottraendo alla stampa l’esclusività di un’informazione che non è – al netto di pochi esempi – né libera né indipendente. Se fai il direttore del Tg1 non puoi fare dopo tre mesi il parlamentare. Chiaro, no?
Lorenzo Podestà
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