La lotta di liberazione, la guerra civile che ha contrapposto in armi italiani fascisti e italiani antifascisti dopo l’8 settembre, può essere interpretata in funzione delle fonti storiche che si decide arbitrariamente di adottare. Ovvio, direte. E non vi è dubbio che fino ad oggi sia prevalsa una storiografia tesa ad esaltare le azioni delle forze antifasciste e concordo con chi ritiene giusto far chiarezza sulle molte storie controverse insite nella guerra civile. Ma un piano è ascoltare quel che gli storici conservatori (li definisco sommariamente così) hanno da dire rispetto a vicende fino ad oggi rimaste nell’ombra; un altro è permettere loro una revisione degli atti finalizzata allo stravolgimento di una verità storica che è inconfutabile. La Resistenza fu un moto di ribellione popolare largamente spontaneo, al punto che le stesse forze antifasciste clandestine – prime tra tutte il Partito comunista, in qualche modo organizzato con una propria struttura dirigente – ritennero azzardato (dunque strategicamente sbagliato) l’arroccamento clandestino dei primi giovani partigiani sulle montagne. Una resistenza contro la dittatura italiana e l’occupazione tedesca, organizzata in principio da avanguardie partigiane, sostenuta in seguito da quote consistenti di popolazione. Questo è lo spirito resistenziale che non ammette revisione alcuna: andare in montagna mettendo in gioco la vita, seguendo il profumo della libertà nascosta tra gli alberi. È stata la storia di un’avanguardia follemente idealista, è diventata la nostra rivoluzione. Piaccia o no.
XXV Aprile, la nostra rivoluzione
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Non è facile parlare, oggi, a distanza di 69 anni, del 25 aprile 1945 e di che cosa esso abbia rappresentato. Innumerevoli le versioni quasi sempre interessate. Cercherò di farlo anch’io anche se di parte, cercando di essere, però, oggettivo, come si suole dire, nel ricordo del mio vissuto di ragazzo di quei tempi (avevo 16 anni) nella Milano di allora, semidistrutta dagli sfracelli provocati dai “liberatori”. Credo di doverlo fare in quanto i testimoni oculari sono sempre meno, le voci narranti arrivano da lontananze sempre più difficili da colmare, le immagini sbiadiscono, le commemorazioni sono macchiate da troppa contemporaneità, annacquate, sbiadite, spesso sminuite o troppo esaltate, unitamente ad altre mutate dinamiche antropologiche. Ciò non di meno un grande lavoro è stato fatto per salvaguardare la memoria, ricercare e conservare le carte anche se nella scuola nulla o quasi è stato fatto, particolarmente nei testi scolastici. Per nostra fortuna abbiamo avuto i Calvino, i Fenoglio, i Cassola, i Pavese, e tanti altri ancora che ci hanno descritto la Resistenza in maniera esemplare, fuori – direi – dalla necessaria retorica di una per me giusta guerra partigiana e patriottica. Si dice che molto spesso la storia non è fatta dagli uomini, ma che è la storia che li forma, li costruisce, li realizza, mettendoli di fronte a scelte estreme alle quali si deve dare risposta.
E proprio questo è stato lo scenario in cui si mossero i giovani degli anni ’20 (sbandati o renitenti alla leva, che importa ?), quando ci fu da mettersi da una parte o dall’altra, o coi fascisti o con l’embrione di un esercito senza stellette, o con Salò o “sulla Langa”, come diceva Bocca, e quindi METTERSI DA UNA PARTE, non FARSI DA PARTE….nonostante il famigerato bando Graziani rendesse più facile la scelta repubblichina ! E, quindi, la guerra di liberazione inizialmente contro “il solo tedesco” trasformatasi quasi subito in guerra civile, con le sue crudeltà, i suoi eccessi da entrambe le parti, ma con un macabro saldo di caduti o di morti ammazzati della Resistenza, campi di concentramento inclusi oltre ai caduti del Comitato Nazionale di Liberazione e dell’Esercito del Corpo Italiano di Liberazione, di ben 5,6, volte superiore a quello fascista, come ha scritto Giampaolo Pansa.
E’ il ricordo della libertà conquistata il 25 aprile che deve essere oggi più che mai conservato.
Beppe Fenoglio aveva visto e capito meglio e più acutamente degli altri come la memoria dell’uomo sia predisposta all’oblio e per evitare che ciò avvenisse aveva trasformato l’epopea della resistenza in mito. Il mito degli uomini delle montagne, delle cascine, degli studenti, degli ex soldati del “Regio”, dei poeti inglesi e di semplici personaggi, trasformandoli in eroi. Una nuova mitologia perché la Resistenza non fosse stata invano.