Come spesso mi accade, anche in questi giorni ho ascoltato su Radio 3 la rassegna stampa nel programma Prima pagina. La conduzione è affidata da lunedì scorso a Marcello Veneziani, editorialista de Il Giornale. Del tutto casualmente è dunque capitato a lui leggere i titoli e commentare la notizia della condanna comminata all’Italia dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per i fatti del G8 di Genova. Dico subito che Veneziani non è il mio giornalista preferito, soprattutto perché accetta la triste condizione di lavorare per un quotidiano la cui proprietà é riconducibile ad un uomo da tempo calato nell’agone politico. Ma gli riconosco una certa attitudine al libero ragionamento, non so quanto spendibile nei pezzi che firma per il foglio della famiglia Berlusconi. Da uomo di destra qual è, Veneziani ha difeso a Prima pagina le cosiddette forze dell’ordine, invitando a non demonizzarle assumendo a paradigma del loro quotidiano operato le violenze alla Diaz. Che non ha negato, ovviamente. Una posizione fin qui accettabile, perché é chiaro non si possa generalizzare, nonostante il sospetto che buona parte di Polizia e carabinieri abbia trovato legittimo agire in quel modo. Non ricordo in proposito comunicati sindacali di condanna firmati dai rappresentanti di agenti e militari, se non la coraggiosa posizione ultra minoritaria di una sigla di categoria riconducibile alla Cgil. Su un punto però sono in totale disaccordo con Veneziani, quando invita a “contestualizzare” l’operato della forza pubblica a suo dire fortemente condizionato dal “clima” che si respirava in quel torrido luglio 2001. Come se possa esistere una relazione tra la guerriglia nella strada che ha coinvolto un parte assolutamente minoritaria di manifestanti e l’irruzione notturna alla Diaz di chiaro impianto squadrista. Si è piuttosto trattato di una illegittima operazione di polizia fondata su presupposti vergognosamente artefatti (le molotov furono introdotte da funzionari di Polizia, come ha acclarato la magistratura per giustificare l’ingresso nel dormitorio) e portata a compimento con lucido ed inaccettabile intento vendicativo e intimidatorio. Qualcosa di inaudito in uno Stato democratico che, come si é giustamente da più parti osservato, ricorda regimi almeno autoritari se non propriamente dittatoriali. Nulla a che vedere con il clima – quello sì decisamente caotico – che ha fatto da sfondo alla uccisione di Carlo Giuliani poche ore prima in piazza Alimonda. Ecco perché Veneziani sbaglia nel non riconoscere la “macelleria messicana” per quello che é stata, appunto una rozza operazione repressiva che ha esposto l’Italia alla condanna della Suprema Corte. Lo fa, io credo, condizionato ideologicamente da posizioni tutt’alto che liberali e conservatrici, da quello spirito “moderato” che richiama – devo dire con spregiudicata disinvoltura – il giornale per cui scrive.
Lorenzo Podestà
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