Uno dei capisaldi della dottrina marxista, impianto teorico che per decenni ha illuminato la strada alla sinistra internazionale, è la divisione in classi della società, condizione che la rivoluzione industriale ha generato quale conseguenza del rapporto tra detentori dei mezzi di produzione e proletariato. Queste cose la sappiamo bene. Interessante è piuttosto ragionare sullo sviluppo di un’intuizione del filosofo tedesco, ossia che per esservi una classe occorra una coscienza di classe. La quale almeno dal modello fordista in poi è stata determinata dalla piena consapevolezza di un destino comune fuori e dentro la fabbrica. Stessa città, occupazione, quartiere, scuola. La chiara percezione di una sorte condivisa si è rivelata per oltre un secolo l’incubatore ideologico di nuove generazioni. Quando l’economia produttiva è progressivamente degradata a finanziaria, una dopo l’altra le fabbriche – cattedrali laiche della cultura operaista – sono crollate sottraendo al proletariato il contesto urbano (prima che ideologico) in cui rinnovare l’identità generazionale. Ne è conseguita l’immediata crisi dei partiti di riferimento della working class e, almeno in parte, il ridimensionamento del sindacato. L’emancipazione sociale favorita dal credito al consumo ha poi definitivamente dissolta l’identità proletaria comunemente intesa, formando nel breve volgere di alcuni anni una nuova classe: i precari. I quali hanno sì la percezione di un destino comune, ma anche la consapevolezza di non poter contare su organizzazioni in grado di tutelarne gli interessi collettivi. Sono soli. Si è di conseguenza sviluppato un nuovo modello di socialità interclassista favorito dai social, che riconosce non più il lavoro quale luogo in cui sviluppare la propria personalità dentro un mondo reale, ma piuttosto interessi e passioni da condividere nella dimensione virtuale. È questa la svolta epocale: la Repubblica non è più nei fatti fondata sul lavoro inteso come rito collettivo, ma sulle suggestioni individuali postate su Facebook, Twitter e Instagram. Può dunque esistere una socialità extracorporea? Non vorrei che il grande motore immobile tanto caro agli aristotelici si rivelasse tristemente la tecnologia informatica.
Lorenzo Podestá
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