Mi interrogo sulle tradizioni, anzi, sulle tradisioni come si dice da queste parti, perché anche l’idioma è tradizione e per certuni occorre valorizzarlo. Riconosco loro la funzione di primo argine al dilagare di una cultura piegata al pensiero globalizzato, e tale prerogativa mi pare addirittura irrinunciabile. Se c’è ancora qualcuno nel mondo che rifiuta la Coca Cola è perché resiste una cultura del bere che le si oppone fieramente non solo per ragioni squisitamente organolettiche. La mission delle multinazionali é incunearsi nelle tradizioni locali puntando su milionarie campagne pubblicitarie per spogliare i popoli della loro identità alimentare, potendo a quel punto occupare i nuovi mercati con prodotti seriali a diffusione planetaria che oltretutto annichiliscono la biodiversità. Non occorre essere Vandana Shiva per capire che l’obiettivo delle world company é generare un acritico target cui vendere le proprie merci. Viva le tradizioni quindi? No, perché esse rappresentano pure l’alibi più solido al mancato sviluppo mentale, senza il quale l’uomo non avrebbe perseguito la conoscenza. Anzi, esse si sono rivelate sul piano storico e filosofico un’autentica minaccia al pensiero progressista inteso in senso lato. Ad esse, alle tradizioni, sono ricorsi spregiudicati principi e papi per consolidare il proprio potere contro gli eretici di ogni estrazione e orientamento che ne ponevano in discussione l’autorità veicolando nuove tesi e questioni. In nome della tradizione Galileo Galilei fu condannato dal Sant’Uffizio, Giordano Bruno fu arso vivo a Campo de’ Fiori, i sudisti americani difesero l’istituto della schiavitù. Ma giacchè in questa disputa una via d’uscita occorre pure trovarla, mi pare di poter dire che alle tradizioni si può rinunciare solo se fini a sé stesse. Ma se esse concorrono a definire l’identità individuale e collettiva all’interno di un ragionamento che assuma le tradizioni quali unità di un insieme volto a perseguire il bene, allora le possiamo accettare serenamente. Interessante é a questo punto tentare di definire il bene. Per quanto mi riguarda, in assenza di certezze trascendenti restano le esperienze sensibili. Il bene é dunque l’assenza di procurato dolore in qualunque forma e verso chiunque sia in grado di percepirlo.
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