Lucifero non lo conoscevo, quel poco che so me lo raccontò Naccari. Però una volta lo incontrai, mi pare al Punto Coop di Sestri. Ci serviva una sala per organizzare non so quale dibattito, forse un incontro sull’agricoltura ogm free. Mi presentai a lui quale componente di un gruppo anticapitalista e antimilitarista, come molti ve n’erano allora in giro. Era il 2001, l’anno del G8 di Genova. Non so bene a quale titolo, Lucifero aveva la responsabilità della sala Coop di via Fascie o comunque poteva concederla o meno a chi la chiedesse. Gli spiegai chi fossimo e cosa avessimo detto e fatto fino a quel momento. Non faticò a comprendere che la nostra radicale critica investiva anche la sinistra che negli anni Settanta fu chiamata d’ordine, quella che non ama il fiorire un po’ situazionista di identità affacciate all’anarchia per nulla affascinate dalle serate in sezione trascorse ad imbustare santini o i giri di Mazurca sul cemento delle feste estive. Mi aspettavo una risposta elusiva dettata dalla cautela. Invece Lucifero mi guardò negli occhi per un istante. Poi mi indicò il luogo dove avrei potuto ritirare le chiavi della sala. Un tratto comune, la determinazione indotta da un istinto che nei venti mesi di montagna non concesse alcun margine d’errore, che ho riscontrato in altri partigiani. Lucifero si fidò di noi benché non ci conoscesse, il nostro spregiudicato intercedere a passi spediti sul terreno dell’utopia gli parve in quel momento forse irrinunciabile. Poi non lo incontrai più. Sono trascorsi molti anni da allora, disteso sul letto, oltre la finestra di questa casa di campagna, vedo i monti della Val Graveglia illuminati dalla luna. Tra gli alberi mi pare di scorgere ancora le anime di questi eterni ribelli chiamati banditi che sento padri. Da qualche ora ve n’è una in più. E mi acquieto.
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