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Chiavari, brutte maschere

Apr16th
2017
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Certamente uno dei più noti è Domenico Scilipoti da Barcellona Pozzo di Gotto. Con responsabilità nazionale, richiamando la sfacciata definizione che attribuì al suo movimento creato per l’occasione, lasciò l’Italia dei Valori per approdare alla corte di Silvio Berlusconi, impegnato in quel tempo ornai prossimo alla fine nel raccogliere una manciata di voti utili a respingere la mozione di sfiducia al suo governo. Con quel cortocircuito logico Scilipoti fece in qualche modo giurisprudenza politica, legittimando sul piano strettamente procedurale il volto macilento del trasformismo italico. Acrobazie politiche non meno iperboliche si stanno verificando a Chiavari in questa coriandolesca campagna elettorale, penosa raffigurazione di maschere tutte uguali. Nella pentolaccia politica cittadina, appesa al filo di una maggioranza ad oggi tutt’altro che acquisita, sono finiti non pochi attori della vicenda municipale. Il sindaco Roberto Levaggi, eletto con il Pdl, ne prese poco dopo le distanze decretando la fine dei partiti in quanto tali. Lo ritroviamo cinque anni dopo assieme a Meloni, Salvini e Toti, baroni e baronetti di corti tutt’altro che movimentiste, intento a differenziare porta a porta i voti progressisti da quelli reazionari per raccattare qua e là residui consensi agitando lo spettro di una Chiavari assediata dai migranti e cappello in mano dall’alba al tramonto. Assieme alla Lega Nord, che nei livelli di responsabilità cittadina lo ha sempre criticato frontalmente, costretta oggi dai capi regionali in questa campagna elettorale a sostenerlo dentro una logica di coalizione che prescinde dal merito del programma. È sufficiente osservare la scivolosissima (per Levaggi) questione del depuratore in Colmata, ops… al Lido. Il sindaco lo vuole, o quantomeno lo tollera, il Carroccio, suo alleato, no. Al punto da sancirne il rifiuto quale punto nodale della campagna elettorale. Oltremodo sfacciata è anche la posizione degli agostiniani superstiti alla diaspora, sostenuti oggi da quel Corticelli (padre) che aprì con Agostino (padre) una querelle che popolò per giorni le cronache quotidiane. Sparito dalla scena e dalla città Agostino (figlio) è oggi Corticelli (figlio) a comparire nelle liste a supporto del mite Di Capua, che dell’ex sindaco condannato a sei anni tenne i conti da assessore al bilancio. Regista dell’operazione Antonio Segalerba, avvocato con almeno una causa (politica) persa, la difesa del suo mentore, travolto dagli scandali a Preli. Sul carro anche Pierluigi Piombo, che ha evidentemente metabolizzato l’imbarazzo per la pubblicazione della lacrimosa lettera sgrammaticata diffusa da Agostino (padre). Non meno disorientati debbono essere i partecipattivi di Alessandro Monti, che d’emblée hanno visto partire un suo storico dirigente, Carolina Birindelli, approdata dall’utopica eterodirezione ultramovimentista di Partecipattiva all’oligarchia tendente al sultanato odaliscatico di Forza Italia. Triplo salto mortale carpiato doppiamente avvitato da far impallidire Tania Cagnotto. Il Pd più che un partito é ormai un efficace neologismo: pronunciandone il nome si richiamano senza dire nulla tutte le opacità della politica. Si può dire che il Movimento 5 Stelle esista grazie al Partito Democratico, ne è l’istintiva reazione. Tesi e antitesi, leggersi la dialettica socratica per comprendere. Pasquale Cama lo rappresenta nella corsa a Palazzo Bianco. Auguri. Roberto Traversi è il candidato sindaco grillino: non si faccia troppe illusioni, il Pd nel Tigullio orientale, dopo il clamoroso flop di Lavagna, è molto debole, l’antitesi potrebbe rivelarsi inadeguata. Quanto a quel che si agita a sinistra dei democratici, la frammentazione è tale che la materia andrebbe trattata con l’ausilio delle nanotecnologie per dividere le sigle della (a questo punto psichiatrica) corsa all’auto identità prodotta dalle scissioni a catena. Resta l’elegantissimo architetto Giardini da Rapallo. La sua candidatura a sindaco conferisce alla competizione un’atmosfera da circolo del polo di una esclusiva contea inglese. Rischia di essere più apprezzato per le sue giacche di tweed che per le sua perizia con righe e squadrette. Peccato.

Lorenzo Podestà

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