Ferdinando Imposimato lo incontrai alcuni anni fa, forse una dozzina. Stavo tornando da Roma con la Y10 carica di libri editi dalla Clu, dopo una settimana trascorsa all’Eur per presentare il catalogo della Cooperativa libraria universitaria a Più libri più liberi. A Roma avevo letto di un incontro che si sarebbe tenuto a Riomaggiore ad inizio dicembre, proprio il giorno del mio rientro a casa. Tra gli ospiti c’era Ferdinando Imposimato. Decisi di andare, devo ammettere incuriosito più dalla stravaganza di quell’evento organizzato in una Riomaggiore che immaginavo deserta che dal tema dibattuto o dagli ospiti in sé. Ed in effetti in paese non c’era in giro nessuno. Però la sala era piena di gente, non so dire quanto residente, un’altra magia del “faraone” Franco Bonanini, verso il quale in quegli anni l’interessata deferenza non era mai troppa. Quando toccò ad Imposimato, ascoltai una lucidissima interpretazione dei cosiddetti misteri italiani, primo tra tutti il caso Moro. Con finissima sagacia concettuale propose un percorso logico rispetto agli eventi narrati, che teneva assieme il rigore degli atti processuali, le ipotesi investigative a suo dire colpevolmente mai assurte a prove, le deduzioni di chi è avvezzo ad istruire e coordinare indagini giudiziarie. Imposimato moltiplicò i dubbi degli uditori, instillò in essi la certezza che la strategia della tensione di matrice nera e la strumentalizzazione del terrorismo rosso incrociassero massoneria, servizi deviati e progetti golpisti dentro un’Italia tenuta al guinzaglio dal Patto Atlantico. E fosse questa la ragione per cui apparve fin da subito impossibile fare chiarezza sui ben noti misteri italiani, a cominciare da Ustica. Proibitivo far emergere una sostanziale verità nonostante l’impegno di onesti servitori dello Stato, il cammino per la verità – questa la tesi di Imposimato – era stato scientificamente minato da fattori ad essa frontalmente contrapposti. E mentre parlava con quel colto accento napoletano scadenzato da una disillusa ironia tutta partenopea si avvertiva palpabile la sensazione che nulla potesse sciogliere anche solo uno di quei misteri. Ed in effetti è stato così, la delusa verve profetica di Imposimato ha trovato riscontro negli anni a seguire. I libri di questo magistrato alla febbrile ricerca di verità impossibili raccontano un animo sobriamente inquieto, che ha messo all’indice non tanto il potere in quanto tale, ma soprattutto gli strumenti – molto spesso inquietanti – dei quali si serve per raggiungere i propri delinquenziali propositi. Recentemente si era avvicinato al Movimento 5 Stelle (come il costituzionalista Stefano Rodotà) nonostante gli strali paranoico-propagandistici di non pochi intellettuali d’una sinistra avvitata sui propri sacerdotali dogmi. Ora Imposimato è morto. Restano i libri e le interviste, grazie al cielo.
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