Grillo ha saputo incardinare l’esasperazione popolare in un soggetto (prima che in un progetto) politico. In questo vento ribelle Grillo si è gettato con tutta la forza e i limiti di cui era capace e a cui non ha saputo sottrarsi, mettendo assieme pezzi della sua storia di comico predicatore e moralizzatore con nuove espressioni dell’impeto neogiacobino, che da Mani Pulite in poi – ovvero da trent’anni – attraversa l’Italia. Grillo ha fatto il suo percorso più o meno situazionista, portando il nulla, cioè un movimento che non esisteva, a rappresentare almeno un quarto dell’elettorato. Non foss’altro che per questo occorrerebbe cautela nel giudicarne il percorso intrapreso. Perché Grillo lo si può dileggiare all’infinito – non senza ragione – canzonando le sue smargiassate verbali. Ma sarebbe discutere gli effetti, non risalire alle cause del fenomeno 5 Stelle. E le cause sono l’esasperazione di un elettorato refrattario ad un sistema politico/parlamentare nella migliore delle ipotesi smaccatamente autoreferenziale, come la penosa vicenda delle candidature nei collegi uninominali sta dimostrando. Senza contare la pietosa storia di Banca Etruria. Di Maio sarà pure uno sprovveduto, un guitto eterodiretto, lo steward dello stadio pagato a chiamata, il damerino di nero vestito che si pone sulla torta nuziale. Ma Enrico Letta non lo era, se consideriamo titoli accademici, lignaggio familiare e frequentazioni dei palazzi romani. A farlo fuori non è stato Grillo, ma Renzi, l’uomo che teorizza – a proposito di smargiassate concettuali – nientemeno che gli Stati Uniti d’Europa nello stesso momento in cui non riesce neppure a federare le anime del suo partito.
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