Il periodo più febbrile della mia irrilevante esistenza l’ho vissuto quando del tutto casualmente mi sono trovato a rappresentare i piccoli editori alle fiere di microeditoria in giro per l’Italia. Tutto iniziò parlando con Marco Frilli nel suo ufficio/appartamento di Priaruggia. Andai a Quarto per ottenere in conto vendita qualche copia di un libretto che l’editore stampò all’indomani del G8, titolo da portare sui banchetti che organizzavamo qua e là nel Tigullio con un gruppo neosituazionista che si chiamava Macondo. Le ottenni da perfetto sconosciuto senza alcuna difficoltà e in piena fiducia senza anticipare nulla. Non solo, tornai a casa con uno scatolone pieno di libri d’inchiesta che Frilli aveva appena stampato per denunciare malasanità ligure, tentativi di privatizzare l’acqua, abusi della Polizia. Dopo poche settimane la fanghiglia del Rupinaro esondato si introdusse nel locale di via Santa Chiara sommergendo i libri che avevo incautamente lasciato a terra. Tutto da gettare. Concordai con Marco, probabilmente grazie alla mediazione della Ludo, un risarcimento a prezzi molto vantaggiosi, le copie le saldai praticamente al prezzo di costo. Iniziò così il nostro rapporto di saltuaria collaborazione. Per qualche anno rappresentai i Frilli nelle fiere di settore vendendone i libri. Torino, Pisa, Belgioioso, Milano, Massa, Brescia. E poi con altri editori a Roma, Spezia, Varazze e decine di altre fiere. Mi trovai in poco tempo a dormire dentro la stanzetta di un circolo Arci dove all’epoca vivevo letteralmente sommerso dai libri, che al mattino caricavo sull’auto per esporli in sagre, feste, eventi. Iniziai anche a presentarli pubblicamente intervistando gli autori nelle librerie e alle feste di partito. Ricordo bellissimi viaggi in solitudine con la Y10 tra i campi di Toscana, Emilia e Lombardia per raggiungere una fiera, la ricerca di un b&b a venti euro, pizza e birra media a prezzi popolari per garantirmi un pur minimo margine. Ma non era per i soldi che facevo quella vita. Volevo fuggire dai pensieri di allora, fuggire dall’ansia, fuggire dall’angoscia. Correvo sulle pagine di quei libri che parlavano di vite inquiete, irrisolte e agitate. Di vite febbricitanti al limite della follia. Conobbi Marcello Baraghini, visionario editore di Stampa Alternativa, che dal ciclostile romano della sede del Partito radicale si inventò cinquant’anni fa una casa editrice ancora oggi punto di riferimento della cultura libertaria. O autori come Bruno Morchio, che mi congedò con la nonchalance dei grandissimi dopo aver realizzato che alla presentazione del suo libro organizzata dal sottoscritto nessuno stava partecipando. O un bizzarro ex cavatore di cui non ricordo il nome divenuto nel frattempo libraio, che allestiva con moglie e figlia precarie manifestazioni stretto dentro ad un impermeabile giunto direttamente dagli anni Settanta. Conobbi Andrea Salieri, suggestivo narratore di storie impossibili che sembra uscito dritto dalla matita di Pazienza assieme a Zanna e Pentothal. O Rudy Ghedini, che di Paz ha scritto una bellissima biografia che lessi tutto d’uni fiato in un pomeriggio di ottobre a Pisa. O Peppe Podda del Maestrale di Nuoro, che rappresentai in una tre giorni al Leoncavallo di Milano tra vignaioli ed editori indipendenti. Bello, bellissimo ripensando a quegli anni. Poi mi allontanai da quel mondo senza una vera ragione, forse – ma non ne sono del tutto sicuro – per dedicarmi al bed & breakfast di Cassagna e al Menabò. Ma quelle atmosfere rarefatte mi sono rimaste dentro, al punto che ogni tanto penso al progetto di una libreria indipendente con frugale cucina proprio a Cassagna dove presentare libri e proporre cucina medievale rivisitata in chiave veg. Ma nessuno legge più libri, pare. E più d’uno in luogo di cavoli neri con le patate quarantine gradirebbe una bistecca al sangue. Non vi sarebbero dunque le condizioni, mi pare un’ottima prerogativa per pensarci davvero. Boh, vedremo
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