Un giorno Naccari mi disse che Vito Spiotta prima del Fascismo era un tipo come tanti. Uno che aveva le sue idee come tanti, come tutti del resto. Vito Spiotta non era ancora Vito Spiotta, quel Vito Spiotta. Lo divenne in seguito, Vito Spiotta. Naccari lo chiamava il boia. Io non so se lo odiasse ancora dopo sessant’anni, ma certo lo chiamava il boia. Vito Spiotta fu condannato a morte dopo il XXV Aprile. L’accusa convinse la Corte e Vito Spiotta fu ammazzato. Venne ritenuto il plenipotenziario fascista a queste latitudini, un’accusa che gli costò la vita. Ma Vito Spiotta prima del Fascismo era un tipo qualunque, uno di quelli che quando passano per strada nessuno li guarda. Un po’ come succede a noi. Vito Spiotta poteva camminare per ore ma nessuno lo notava. Avanti e indietro sotto i portici. Niente da fare, nessuno lo notava. Un’ombra, come tutti noi. Fino ad un certo giorno, quando iniziò a diventare Vito Spiotta. Quel Vito Spiotta. Il boia, come lo chiamava Naccari. Prima no, era solo un Vito Spiotta qualunque. La banalità del male smise di essere un concetto astratto, una speculazione socratica e iniziò ad assumere le sembianze di un uomo. Si dette da fare, Vito Spiotta. Scaló il partito fino a diventarne il capo locale. Quando andava in giro la gente abbassava lo sguardo, ora. Cambiò i pantaloni, le camicie e le scarpe. Soprattutto cambiò lo sguardo. Quello sguardo fino allora insignificante divenne lo sguardo di Vito Spiotta. Il boia, diceva Naccari. Poi le cose andarono come andarono e Vito Spiotta fu condannato a morte. Lo sappiamo. La banalità del male perse il corpo in cui s’era insediata e dovette cercarsi altri corpi per propagare il male. Perché il male non muore. Muoiono i corpi, il male non muore mai. I filosofi si rompono la testa da 2500 anni per capire perché. Anche loro muoiono, il male non muore. Ed entra nei corpi. Corpi che passano sotto i portici e che nessuno nota. Sguardi insignificanti. Fino ad un certo giorno
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