Devo comperare un paio di scarpe, che la semantica globalizzata chiama oggi sneaker. Un’azione semplice, che però l’etica del consumo conduce spedita a frustrazione. Spiego. Aderendo al principio secondo cui le scelte individuali determinano movimenti collettivi in grado di condizionare la produzione, da tempo espongo i miei pur modesti acquisti ad un’analisi di sostenibilità. L’obiettivo è limitare le contraddizioni in cui continuo in ogni caso a versare. Ma che fatica. Comprare un paio di scarpe, manifesto della complessità del vivere contemporaneo. Il primo vincolo è la questione dello sfruttamento di mano d’opera denunciata da grandi inchieste internazionali. Almeno dal libro “No Logo” di Naomi Klein in poi nessun essere che si senta minimamente informato può ignorare il tema del lavoro minorile – o comunque, se maggiorenne, sottopagato – organizzato in ambienti privi di sicurezza. Senza contare l’adesione spesso solo formale o addirittura inesistente di Cina, Vietnam, Taiwan, Thailandia ecc ai vari protocolli sul controllo delle emissioni tossiche in atmosfera. Sono inoltre piuttosto refrattario ai vari brand in grado di dettare la moda (e la conseguente dipendenza un po’ patologica da essa) mediante gigantesche campagne pubblicitarie. Niente scarpe prodotte da Nike, Adidas, Puma, Converse, Reebok ecc. Altro condizionamento che muove le mie scelte è la questione animalista, ovvero l’uccisione seriale degli animali dentro ad allevamenti intensivi destinati alla produzione di carne o pelle. In rete è possibile documentarsi con facilità rispetto a quanto accade nei luoghi di sofferenza in cui nascono, vivono e muoiono le varie specie destinate alla macellazione/pesca. Nessuno può oggi dichiararsi inconsapevole, se ti indigni ma non cambi abitudini sei complice. Ma torniamo alle scarpe. Quelle commercializzate dai cinesi meno che mai. Perfette almeno in estate sarebbero le Superga in tela, che però dal 2004 sono passate sotto il controllo della Basic Net, proprietaria anche del marchio K-Way. Probabilmente sono anch’esse prodotte in qualche insalubre fabbrica asiatica, devo informarmi. Insomma, occorre organizzarsi. Se mi vedrete girare con strane scarpe autoprodotte non allarmatevi, starò solo tentando di cambiare il mondo. Ah chiaro, pubblico questo post scritto con l’iPhone…. Che fare? Siamo circondati
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