Segnalo due libri che mi paiono necessari per chi voglia approfondire il tema del rapporto tra filosofia e politica. Non senza doverosa ruvidezza espressiva, i testi presentati a Fahrenheit un paio di giorni fa smontano l’idea – in verità sempre più diffusa nell’era del tecno capitalismo – per cui il ricorso all’elaborazione filosofica sarebbe velleitaria prerogativa di una comunità di pensatori fuori dal tempo corrente. Si rivelerebbe in sostanza una primordiale funzione dell’intelletto alla quale affidare il disvelamento dei grandi misteri dell’umanità, ben lontana però dall’offrire un tangibile contributo alla vita quotidiana. Niente di più falso. I testi di Donatella Di Cesare e Roberto Esposito, rispettivamente “Sulla vocazione della filosofia” edito da Bollati e Boringhieri e “Termini della politica vol. 1°” pubblicato da Mimesi minano le fondamenta di una narrazione della filosofia di coloro i quali – per pura convenienza politica – tendono a rappresentare la società quale intreccio di questioni e problematiche correnti, che solo una visione pragmatica, emergenziale o addirittura poliziesca delle dinamiche sociali può interpretare con efficacia. Proprio per questo Donatella Di Cesare, docente di filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, chiede alla filosofia di ritornare nella città, dove la riportò Platone dopo l’infame processo a Socrate, ovvero di comprendere l’umanità offrendole un’indipendente lettura veicolata con un linguaggio semplice ed accessibile. I filosofi devono vivere nel tessuto sociale, al tempo stesso mantenendo il proprio fuori luogo. Devono essere richiedenti asilo nella propria patria. Il pensiero estranea, il pensiero rende stranieri – rileva Donatella di Cesare – ecco perché essi si configurano come «migranti del pensiero», attualizzando ai nostri giorni con una magistrale definizione il ragionamento. Una tesi ripresa da Roberto Esposito, docente di filosofia teoretica alla Scuola Normale Superiore di Pisa. «Il filosofo deve porsi come critica dell’esistente elaborando concetti». La filosofia, diversamente dalla scienza, non deve assumere i paradigmi che la realtà ci pone davanti, ma è chiamata a sviluppare pensieri che la pongano come pensiero dell’oltre. Deve essere critica, dando battaglia in relazione agli errori e agli orrori di una democrazia che si sta eclissando. «Oggi la democrazia attraversa una crisi profondissima», sono le parole di Esposito, anche a causa dell’arretramento del pensiero critico. Una impostazione condivisa da Di Cesare, secondo cui la filosofia – forse a causa dell’arroccamento in accademia – è svilita nei fatti al ruolo di ancella della politica, che può manifestare ad un elettorato ormai disabituato alla critica una visione del mondo parziale o addirittura funzionale alla propria missione. Due libri intellettualmente scorticanti, che vivamente consiglio
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