Sono spesso in accordo con Marco Travaglio. Non è una novità, lo seguo con interesse da anni condividendone l’analisi politica al netto di trascurabili divergenze. Ho spesso discusso sul punto con amici, che peraltro stimo. Ma i loro argomenti non mi hanno fatto al momento cambiare idea. Sull’imbrattamento della statua dedicata ad Indro Montanelli però Travaglio sbaglia. «Indro Montanelli era figlio del suo tempo, non certamente un razzista, né uno stupratore, né pedofilo». La sua linea difensiva, consegnata ad “Accordi e disaccordi”, talk condotto da Andrea Scanzi e Luca Sommi, la trovo inaccettabile. Dice Travaglio a proposito di Montanelli: «E’ nato nel 1909 e nel 1935 si imbarcò volontario per l’Abissinia. All’epoca il colonialismo era un diritto dell’Italia. Gli indigeni gli dissero che era meglio se si fossero sposati. E come ci sposava? Stipulando un contratto pubblico, che si chiamava madamato, con i genitori delle ragazze da marito che per loro erano oltre i 12». Una teoria d’impianto mentale sallustiano o senaldiano, scegliete voi. Comunque intollerabile. Come se l’ordinamento giuridico costituisse una sorta di moratoria etica rispetto alle azioni intraprese. No, Travaglio. Sbagli. Innanzitutto perché l’adesione di Montanelli al regime coloniale, con tutto ciò che questo comporta in termini di coercitivo assoggettamento di un popolo all’altro, avvenne come ricordi fu su base volontaria. Montanelli accettò quindi sul piano logico quel che il colonialismo comportasse. Accettò anche la consuetudine degli “indigeni” – come li chiama Travaglio con terminologia etnografica non so quanto oggi conveniente – affidare bambine di 12 anni a uomini che certo non le considerarono figlie. Lo fece vivendo il suo tempo nella piena consapevolezza che dobbiamo riconoscere al colto Indro Montanelli, il quale non visse inavvertitamente quel che gli capitò come un qualunque soldato dall’incerta scolarizzazione. Si poteva scegliere da che parte stare, Montanelli scelse la politica coloniale fascista.
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